Pittrice, Grafico, Incisore, Poetessa           

           Antologie        

                                  
 

 

 

A.L.I.A.S. Antologia 2007
Accademia Lettereraria Italo-Australiana Scrittori
Melbourne
Edizione 2007

 

Menzione d'onore per la POESIA e la NARRATIVA


 

 

 

Camera                                       

 

Anfore di velluto

su carte di cristallo marmorizzato

armadi di stoffa

                          e

poltrone di plastica.

 

Unghie di tavolo

graffiano il pavimento

                       dove mille legni

poggiano inquieti l’odore di specchi neri.

 

                        Porte di muro

si aprono grattando l’Aria

che si frastaglia

                       in scaglie bianche

e fuma come ghiaccio bollente.

 

Trine di rame e reti di garza

                        confondono

il loro alito

             con uno zoccolo di marmo.

 

Bambole prigioniere di vetro

guardano storditamente

l’albero oltre la finestra

          che porge i suoi frutti

al tributo della Vita.

 

Occhi bianchi e neri

                               ti osservano

con ombre grigie di gambe di legno.

 

Quadri bianchi raccontano

lo sbadiglio dello studente

                           ad ellissi di ferro

che reggono morbide reti di lana.


 


Il grande Fiume

 

Molto spesso, affacciata al parapetto del lungotevere, guardo il lentissimo fluire del Fiume attraverso le foglie dei grandi alberi che lo incorniciano da ambo i lati. I loro rami si protendono, dalla parte dell’Acqua, verso il basso fino quasi ad accarezzare gli alti alberi nati sulla riva e abbarbicati al marciapiede sottostante che delimita il suo corso.

Sulla sua superficie galleggiano sonnacchiose le foglie cadute e le piante acquatiche a ciuffi spuntano qua e là.

A volte vedo un camioncino, fermo ai bordi della riva, aspettare gli addetti alla manutenzione che raccolgono le foglie e la sporcizia ammucchiata agli angoli del muro. Oppure coppie di persone che vanno in bicicletta seguendo la pista ciclabile che si snoda lungo il margine, o i canottieri passare, come in questo momento, dove un uomo, su una canoa bianca, scivola lentamente sull’Acqua accompagnando, con i suoi movimenti, i remi che si tuffano e riemergono gocciolanti mentre la barca scivola via.

Sul muraglione di fronte spiccano sulla pietra figure di animali. E quando cammino seguendo con la mano il bordo del  muro, mi piace guardare il sole filtrare attraverso gli alberi e dipingere macchie di luce, piccole e grandi, sul marciapiede dove le foglie secche scricchiolano sotto i miei passi.

Affacciata su Ponte Sisto all’orizzonte si scorge la cupola che si staglia contro il cielo mentre il suo riflesso tremola nell’Acqua.

Il battello sulla destra della riva sembra alto sei piani tanto il riverbero dell’immagine è nitida.

Dall’altra parte del cavalcavia ombrelloni e stand riempiono la riva fino a Ripa Grande. E al tramonto sprazzi di arancione dipingono qua e là l’Acqua ed il cielo. Mentre d’inverno l’aria impregnata di umidità da al Tevere una patina ovattata di grigio-blu.

 

È così che Roma si specchia nel suo Fiume cambiando toilette secondo la stagione con i colori e i compagni piu’ svariati: gabbiani, ciclisti, canottieri, battelli pieni di persone.

Oggi, dopo qualche giorno dalla grande fiumana mi sono fermata piu’ a lungo ad osservare.

Appoggiata con i gomiti sul bordo del parapetto del lungotevere guardo in basso l’Acqua, di un colore indefinibile ed indefinito, scorrere velocemente con piccoli gorghi che portano all’ingiu’, nel profondo, pezzi di plastica rametti e altro, che riappaiono piu’ in là verso l’altro viadotto.

 L’ultima volta che sono stata qui il Tevere pareva voler trasbordare dagli alti muri. Il ponte accarezzato dal suo fluire sembrava inerme, anche se mastodontico, e dopo tanto lottare contro la corrente, era quasi rassegnato ad essere inondato dopo tanti giorni di piena. I curiosi si affacciavano  dal  cavalcavia  e   dai   muraglioni   per   vedere:  molti   con   la   macchina  

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fotografica immortalavano l’evento forse per dire “ c’ero anch’io  quando è successo questo e quest’altro”. Nonostante tutto l’effetto sorprendente di quella massa enorme che scorreva veloce a valle guardavo serena e, anzi, mi sentivo calma e tranquilla. Sarà forse perché  amo molto l’Acqua. È l’elemento che sento piu’ vicino a me. Lei è il sangue della Terra che attraverso le sue vene ed arterie – ruscelli e fiumi – nutre, disseta e lava il pianeta durante il tragitto dalla sorgente al Mare, all’Oceano.

L’ Acqua è fonte di Vita e va usata, centellinata, come qualcosa di sacro.

L’ Acqua è viva. Oltre che lavare e purificare ha una sua memoria e simboleggia la natura emotiva dell’uomo.

È per questo che il Tevere è così importante per una città grande come Roma. Attraverso il sinuoso tragitto il Fiume pulisce e trasmuta l’energia pesante ed immette nell’aria ioni positivi. Racconta antiche storie e porta con se la reminiscenza della vita millenaria di questo posto così antico e contestato. È un lavoro enorme perché noi umani, convinti di essere molto intelligenti, facciamo del tutto per distruggere  e consumare la nostra esistenza e la Vita del fiume, che lo porta a cambiare colore, a dimenticare pesci e nuotate di quelli che, come qualche decennio fa, invece di andare al mare si tuffavano in lui e facevano il bagno tranquilli.

È una grande opera che, finche Lui ce la farà, assolverà con tutta la forza e l’amore possibile. Poi quando non potrà piu’farlo ci lascerà  in balia di noi stessi.

Fin dai primi anni del secolo scorso nacquero stabilimenti lungo le sue rive, ancora raggiungibili, e i vari circoli dei Canottieri.

Vagliando i nostri ricordi possiamo sentire ancora bambini strillare, mentre si gettano nelle sue fredde acque, felici e gioiosi di poter giocare a schizzarsi addosso.

Come scordare Mister OK che, fino a tarda età, ogni capodanno per festeggiare l’arrivo del nuovo anno si tuffava da Ponte Risorgimento nelle fredde acque sottostanti applaudito dalla folla venuta a vederlo?

 

E così, come Siddharta, ferma sulla riva, guardo il Fiume.

In Lui c’è, contemporaneamente, il passato, il presente ed il futuro. Tutti noi siamo qui ma anche altrove per la smania di avere, vivere, andare, fare. Mai prendersi del tempo per stare in silenzio a nutrire l’Anima. Per osservare, senza fretta, il volo degli uccelli che sfrecciano nel cielo. La pioggia picchiettare dolcemente la pelle e bagnare i capelli che gocciolano sulle spalle. Oppure, semplicemente, fermarsi ad ascoltare la Vita, per conoscersi e chiedersi: chi sono? Cosa voglio veramente?

Dicevo che oggi sono qui ferma a guardare il Tevere riadattarsi al letto che gli uomini gli hanno costruito intorno per la paura delle inondazioni che, ogni tanto quando era libero di scorrere, allagavano Roma la “Città del Fiume”.

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E sembra quasi che sia dispiaciuto di doversi rassegnare a ritornare dentro i margini del suo letto artificiale tanto che accelera, di tanto in tanto, formando piccole onde come a voler andare ancora sul marciapiede che lo incornicia, lì in basso, anteriormente al muro.

Prima che, dopo lunghi dibattiti e proposte, nell’ottocento si cominciassero i lavori dei muraglioni, conclusi  poi nel 1926, Lui scorreva libero e spesso le inondazioni coprivano di fango la parte bassa di Roma portando danni, epidemie e morte. Si può ancora leggere la testimonianza di questo su molte targhe nei muri dei palazzi della città, come in via Borgognona, dov’è segnata anche l’altezza raggiunta dall’alluvione del 28 dicembre 1870: e cioè 1,19 metri.

Alla fine dei lavori risulteranno modificati alcuni antichi ponti romani come il Cestio o S.Angelo e demoliti i porti di Ripetta, tappa del traffico fluviale dall’alto del Tevere; il porto di Ripa Grande, il piu’ grande porto della città con cantieri, magazzini, dogana e attività varie di cui ora rimane solo una doppia scala che scende verso il Fiume; il porto  Leonino, piccolo porto adibito a scarico delle merci destinate al Vaticano e dove venivano portati i travertini e i marmi usati per lo piu’ per la costruzione della Basilica di S. Pietro e molti ambienti ed attività che vivevano ed usufruivano di Lui come gli “acquaroli” che rivendevano l’acqua, ancora potabile, del Tevere: i “barcaroli”, i “molinari” che lavoravano presso l’isola Tiberina dove l’acqua, resa impetuosa dal restringimento dell’alveo del Fiume, muoveva i  molini, i “carpentieri”, i “pescatori o pescivendoli” che vivevano pescando le numerose varietà che popolavano l’allora “biondo Tevere”: e poi “marinai”, “conciatori”, etc..

L’opera della costruzione dei muraglioni eliminò il problema delle inondazioni ma distrusse anche il rapporto che i romani, da millenni, avevano con questo Grande Portatore di lavoro, rifornimenti, prodotti che resero grande e famosa una città come Roma oggi solo spettatrice, e non piu’ fruitrice, dei suoi benefici effetti che si sono, man mano, persi nel tempo.

 

Spazio con lo sguardo e le “palafitte”, così le chiamo io, ma sono chiatte e anche ristoranti galleggianti sul Fiume che l’altro giorno erano quasi in procinto di affondare così ancorate al marciapiede da lunghe funi, cavi d’acciaio e passerelle e che stavano come bandiere a  galla nell’acqua, ora giacciono mollemente sulla sua superficie in  attesa di essere riparate.

Altre hanno rotto gli ormeggi che le tenevano ferme e si sono incastrate, mezze scassate, tra gli alberi che sono ai bordi del Tevere.

Al lato delle arcate del ponte l’Acqua ha accatastato bottiglie di plastica, rami, buste e tanta di quella roba che lei è costretta a girargli intorno. C’è anche un pallone di calcio che gira in continuazione su se stesso spinto dalla corrente. È incredibile quello che si può trovare  in Lui! Rami, rametti e  anche  un  albero

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legati, attorcigliati da buste di plastica. Uniti da ogni tipo d’immondizia.

 

Un uomo passeggia sul marciapiede e va verso la  “casa” galleggiante. Lo seguo con lo  sguardo mentre sale e comincia a cercare oggetti che forse non ci sono piu’ portati via dalla furia della piena. Entra dentro e comincia a tirar fuori roba ammassata  e bagnata, mezza rotta. Pezzi di cose portate dalla corrente, una sedia ancora buona e così via.

Mi tolgo dal parapetto e comincio a camminare piano sul lungotevere. E   allora posso ammirare sugli alberi un nuovo tipo di fiori. Moderni e poco colorati. Anzi alquanto scialbi. Buste di plastica, pezzi di stoffa o tela non si capisce bene, che stanno lì come se qualcuno l’avesse stesi e penzolano dai rami, ormai asciugati dall’aria oppure sdraiati, incastrati tra gli alberi come ci fossero sempre stati, inquilini particolari di un condominio naturale.

Mi dà un senso di tristezza vedere come il Fiume ritirandosi abbia lasciato di tutto e in ogni dove. Non che sia colpa sua, no. Anzi la colpa e di chi abbandona qualsiasi bene consumato, bevuto, fumato, letto in ogni luogo pensando di liberarsi degli oggetti e non si rende conto poi che questi ti ritornano nel momento e nel modo piu’ imprevisto. Et voilà… ecco che ogni cosa viene presa trasportata e buttata alla rinfusa dove capita da Lui che non perdona. Restituisce sempre ciò che raccoglie o prende strada facendo.

 

Pensa che disastro se fosse trasbordato. La melma insieme ad oggetti di vario tipo avrebbero inondato e sporcato le case al centro di Roma. Allagato le strade e le macchine trasformando tutto in un pantano. La natura ci restituisce il trattamento che le riserviamo e non credo che sia il caso di prendersela con la pioggia o il maltempo. Dovremmo fare una analisi. Guardarci in faccia, senza  trovare scuse, e prendere finalmente coscienza che siamo tutti uno. Ciò che noi facciamo avrà sugli altri le stesse ripercussioni che ha quello che fanno gli altri su noi. Ormai non possiamo piu’ nascondere la testa nella sabbia come gli struzzi per non vedere. Dobbiamo cominciare da noi stessi. Ognuno può e deve cambiare prospettiva. Ancora non è tardi per prendere consapevolezza dell’impatto disastroso che il nostro comportamento ha sulla natura e sulla società. È troppo comodo dare la colpa agli altri. Ma gli altri siamo noi. Noi tutti. Così presi a cercare di avere, arrivare, fare, consumare, comprare sempre piu’ non ci rendiamo conto nemmeno di vivere. Soggiogati dal consumismo che ci crea falsi bisogni perdiamo di vista la necessità primaria dell’ uomo: Essere.

Ci siamo mai fermati un attimo ad avere coscienza dove siamo e cosa stiamo facendo al momento? No? Facciamolo. E allora ci renderemo conto di non essere consapevoli. Ci renderemo conto di fare e pensare mille cose  guidando automaticamente  l’ auto o camminando  magari  in  mezzo  a magnifici alberi,

 

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oppure passando davanti a stupende fontane senza nemmeno sfiorarle con lo sguardo.

 

Mi domando: siamo mai presenti a noi stessi? Quando stiamo guidando stiamo veramente guidando o facciamo altro? Quando lavoriamo stiamo lavorando o facciamo meccanicamente quello che dobbiamo fare in attesa di fare altro o pensando ad altro? Quando mangiamo stiamo mangiando oppure guardiamo la televisione o addirittura ragioniamo mentalmente su altre cose? Non siamo piu’ capaci di vivere il presente troppo proiettati in avanti per raggiungere… che cosa?

Nella mente si affollano pensieri, riflessioni e domande mentre continuo a guardare in basso il Fiume che scorre lasciando dietro se una leggera canzone frusciante.

Musica che entra dentro l’Anima e porta via la tristezza e la malinconia. La sento dentro. Sta lavando la mente ed il cuore trasmettendomi una fresca tenerezza e la gioiosa speranza di un futuro migliore.

Mentre il vento accarezza piano la pelle e le foglie tremano e cantano mosse dall’aria il ritornello di Vita eterna socchiudo gli occhi e mi lascio andare a quest’attimo infinito di gioia profonda.

Mi espando oltre il mio limite e divento aria, albero, acqua, casa. Faccio parte del tutto in un continuum d’Amore e d’eternità. Sono in un’altra dimensione e tutti i rumori intorno si attenuano fino a svanire in un silenzio pieno di musica, l’armonia del mondo unita alla mia nota personale, ed allora scoppia in me la Luce e come un fuoco d’artificio, che lentamente sparge i suoi punti luminosi e colorati rischiarando a giorno il blu della notte, ogni mia cellula respira e s’illumina.

Rimango in silenzio a godere di questo momento eterno sorda al richiamo giornaliero.

Inspiro profondamente e riprendo contatto con la città ed il Tevere che sembrano piu’ splendenti e luminosi, come dopo un acquazzone, e una pace gioiosa riempie ogni atomo del mio Corpo ancora turbato nell’aver toccato la Creazione Universale.